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VETRARIA DI MURANO: NASCITA E SVILUPPO DI UNA TECNICA ARTISTICA di Giuliano Graziussi (Vivere a Venezia, Luglio-Settembre 1999)

Il forno vetrario muranese

Un nuovo numero da collezionare. Affrontiamo questa volta la storia (in miniatura) del vetro di Murano, una particolare attenzione alle vetrate. Murano, sestiere veneziano più autentico di altri, basti ricordare "il libro d'oro" esistente solo a Murano per proteggere le professioni. Chi dimostrava essere nativo e originario di Murano poteva mantenere una professione presso una vetreria, poteva aprire una attività. Chi non lo era, come nel caso di Zorzi de Zuane, detto Barbin, veniva licenziato (1646) per ordine del gastaldo dell"arte. Il povero Barbin dovette ricorrere ai Capi del Consiglio dei Dieci, per essere riammesso al lavoro e descritto "nella Mariegola dell'Arte di Verieri, come cittadin della Terra di Muran". (Il nonno di Zorzi de Zuane aveva dimenticato di dare nota in cancelleria, a suo tempo, la propria figliolanza). Il vetro muranese si differenzia da quello mediterraneo per la sua trasparenza e leggerezza dovute a particolari procedimenti della lavorazione. Quello mediterraneo, invece, che risale ai primi esperimenti degli Egizi per giungere ai Greci e ai Romani, serviva quasi esclusivamente a scopo funerario o per particolari utensili. La differenza sostanziale era soprattutto nello spessore, ma anche nella forma e nei colori impiegati. Troviamo degli esemplari, ancor oggi in uso, e ripetuti in epoca 'moderna", che si differenziano per i moti vi anzidetti, ma anche per la gentilezza dei colori e della forma come ai tempi del jabeau e del tricorno.

Era così importante la produzione vetraria a Murano che vi fu la necessità di notificare alla Cancelleria Ducale ben 150 Casate muranesi, tutte con il loro stemma ben personalizzato. Altre che ne chiedevano l'iscrizione furono totalmente ignorate o addirittura attesero moltissimi anni per ottenere riconosciuto il diritto di iscrizione alla cittadinanza. Diversa sorte toccò, per la precisione, a 6 nuove "Casade di cittadini in questa spettabile comunità con l'esborso di ducati 300 per cadauna Casa da essere depositati nella cassa della medesima". Tutto questo avveniva a Murano "acciò possino, con i loro di scendenti, lavorare liberamente nelle Fornaci, senza alcun ostacolo". Per non ripetere la descrizione storica e dettagliata in altre pagine di questa rivista, tengo a descrivere un fatto quanto mai singolare. Vi furono anche dei privilegi nei momenti del maggior splendore della Serenissima, intorno al 1456. Il documento specifico non si è riusciti a trovare, ma che Nicolò Mocetto ricevesse qualche favore particolare per la fabbricazione dei cristalli, se non per quella degli smalti, è provato in una delibera del 20 febbraio 1457, presa "in Consiliis minori del XL et maiori, ad instanciam et requisitionem ser Boni de Angelis et fratrum ". A tale proposito bisognava ottenere un permesso speciale dai Provveditori di Comun (magistratura preposta alla sorveglianza sulle Arti) per fare "optime et egregie" quello che allora era con siderato "lustro e decoro della città", la lavorazione del vetro "cristallino". Vi si conferma che il 21 febbraio 1457 erano solo due i padroni di fornace che godevano di tale speciale privilegio: Angelo Barovier e Nicolò Mocetto e che ad essi, appunto, in tal giorno se ne aggiungeva un terzo di nome Jacopo d'Anzolo. Tuttavia a questo fu data non solo la concessione di fare vetro "cristallino", ma gli fu estesa anche la facoltà, per quel periodo molto singolare, di produrre "vetro porcellano", termine che ai nostri giorni conosciamo come "vetro lattimo".

Per non dilungarmi troppo in un percorso per me assai difficile, mi piacerebbe sognare che le colonne di Marco e Todaro nella splendida Piazza san Marco, senza diminuzione alcuna del loro valore, fossero mitiche e preziose come quelle che si racconta fossero, rivestite di  vetro smeraldino,  nel tempio di Ercole a Tiro.

Indispensabile pensare anche alle esigenze che le abitazioni fossero protette dal freddo trasmettendo al contempo la luce esterna al loro interno. Furono eliminate così le coperture marmoree di alabastro e trafori marmorei, altre meno eleganti ma necessarie come pelli e legno. Da ciò discende l'uso di chiudere finestre, rosoni e altre aperture con lastre di vetro trasparenti e di vari colori: le vetrate. Nel mondo occidentale , soprattutto nel corso del XII secolo l'arte delle vetrate si caratterizza come trasposizione della tecnica della tarsia, ma l'effetto maggiore deriva sicuramente dalla trasparenza che fa delle vetrate una vera e propria "pittura controluce". La sua fortuna si lega, senza dubbio, allo sviluppo dell'architettura che abbandona col tempo le grandi superfii continue al leggerendo le pareti con una determinata dinamica. Così si spiega lo straordinario connubio tra il Gotico e la vetrata e quindi la sua applicazione rinnovata nell'architettura contemporanea. Nel secondo millennio avanti Cristo gli scavi archeologici di Beni Hasan hanno portato alla luce frammenti di vetro piatto colorato. Nell'architettura paleocristiana che usava schermi marmorei trovò impiego saltuario anche il vetro montato su telai di legno, come ad esempio in Sant'Apollinare in Classe. Non mancano pure casi di chiusure vitree in edifici religiosi del primo Medioevo. In proposito ho trovato curioso e ve ne cito il passo dal Liber in Gloria martirum di Gregorio di Tours dove si narra come i vetri della chiesa di Izeure fossero stati strappati dall'intelaiatura da un ladro, credendo che all'interno del vetro vi fossero fusi metalli preziosi. Il povero lestofante, nel cercare il metallo prezioso rompendo le vetrate, dovette pensare di essere rimasto vittima di una stregoneria. Lo storico Prudenzio paragona le vetrate di San Paolo fuori le Mura ai fiori primaverili, mentre Paolo Silenziario esalta le finestre colorate di Santa Sofia di Costantinopoli. Tutte queste vetrate erano costituite da vetri colorati nella massa e non dipinti perché non contenevano alcuna figurazione. Una tecnica singolare di assemblaggio di vetri colorati per vetrata fu quella di connetterli a supporti in stucco, come è attestato in origine nell'Oriente islamico e quindi anche in Occidente. Questo genere artistico che impiega il vetro trasparente ha ancora poco in comune con la vetrata che si è sviluppala in Occidente nei secoli IX-X. Nei testi di questo periodo si trovano precisi riferimenti all'esistenza di vetrate figurate. Testimonianza importante di ciò è nella Vita di S. Ludgerio vescovo di Mùnster (864) in cui si racconta di una fanciulla cieca che riebbe la vista grazie ad un miracolo del santo nella abbazia di Wcrden. Giungiamo con queste prime attestazioni scritte al periodo carolingio nel quale la nostra produzione cominciò a diffondersi. Secondo Teofilo il modello veniva disegnato di grandezza pari alla vetrata con una punta di metallo su di una tavola di legno preparata a gesso. Più tardi invalse l'uso di sostituire il legno con stoffa, pergamena o carta. Il Rinascimento italiano con l'uso del cartone ha eliminato le precedenti tecniche progettuali ormai superate. A partire dal quindicesimo secolo  i  vetri,  tagliati con la punta di diamante seguendo il disegno del modello, venivano montati su di una cornice provvisoria per valutare l'intera composizione. Si procedeva quindi alla pittura dei singoli pezzi usando colori scuri sopra la superficie del vetro. Questa tecnica era detta grisaiIle. Importantissimo il ruolo di questa tecnica pittorica nell'economia generale dell'arte della vetrata. Finalmente è il pittore che regola la trasparenza del vetro per ottenere effetti di omogeneità pittorica in ciascun soggetto. Le vetrate moderne e contemporanee seguono tutt'ora questa tecnica la cui duratura è garantita dalla ricottura in fornace della coloritura soprammessa.

Attorno al 1150, in particolare nella Francia nord-orientale e nella Renania, sono molto accentuati i rapporti tra vetrata e smalto. Un secolo dopo si avvertono piuttosto contatti con i miniatori di queste stesse aree. Nel Quattrocento e nel Cinquecento si osserva chiaramente il legame tra i vetratisti e i frescanti, con i modi diversi della pittura e le tecniche dell'incisione. Queste forme artistiche, a loro volta, subiscono gli influssi dell'arte della vetrata. Un rapporto intercorso fra l'ideatore e l'esecutore: tra il pittore autore del modello e il maestro vetraio che lo esegue fu sempre e lo è tutt'ora un problema fondamentale. Pensiamo a epoche più antiche quando la distinzione fra artista e artigiano, fra ideatore ed esecutore non era definita o, il più delle volte era lasciata a una sola persona. I rapporti stilistici tra alcune vetrate di Chartres e della S.te Chapelle con certe sculture degli stessi edifici o con coeve miniature parigine e in certi casi talmente stringente da far postulare l'opera del medesimo autore che si è cimentato in tecniche diverse. Ciò era reso possibile dalla organizzazione della numerosa bottega facente capo al maestro. Il suggerimento che proviene dall'artista è compositivo. Il disegno che esegue ha lo stesso valore, in rapporto alla vetrata finita, di chi firma una incisione; poco conta chi ne sia l'esecutore materiale, che ai nostri giorni è un artigiano, mentre era un allievo di bottega nei secoli passali. Pensiamo alle incisioni di Durer che è autore a prescindere dei loro esecutori.

Tuttavia nella vetrata si danno casi diversi. In Francia, Paesi Bassi e Germania i maestri vetrai sono per lo più ideatori e insieme esecutori, come ad esempio André Bobin e Arnaud de Moles, mentre nell'Italia centrale la personalità dell'ideatore è ben più nota di quella del pittore di vetrate. Citiamo in proposito Paolo Uccello, Pietro Perugino e altri. Ce lo conferma il Trattato dell'Arte di Cennino Centrini nel passo dove afferma che l'arte della vetrata si pratica assai poco da parte dei pittori, ma invece è ben nota ai maestri vetrai che erano considerati dei "pratici" nettamente subordinati ai pittori, a coloro cioè che posseggono compiutamente i fondamenti dell'arte.

Il Canal Grande di Murano

Stemma dell'isola di Murano -

da una miniatura, Venezia, Museo Correr.

Anzolo Fuga, assieme ad altri pochi, è un caso particolare. Il maestro vetraio non è solo un realizzatore passivo di idee altrui. L'esperienza vetraria (tecnica, coloristica) e la capacità di saper realizzare personalmente i disegni dei cartoni lo pone in posizione privilegiala poiché, mentre disegna il progetto intuisce nello stesso attimo la sua realizzazione finita conoscendo bene come trattare la materia del vetro sul fuoco che prende luce nella fornace. Guardando i disegni e i cartoni di Fuga, anche per chi non è addentro all' arte vetraria, si intuisce, nel vedere gli azzurri, i rossi, i chiari e scuri, che non sono solo figure di colore o macchie; ma colori trasparenti perché già nei suoi disegni si coglie che l'artista sente un'altra necessità. Legato culturalmente al vetro e alle sue trasparenze.

 Quando disegna non pensa come un artista chiamato pittore, ma come un vetratista. Riesce a dare trasparenze magiche anche ai colori più profondi, riesce a far volare una colomba nella trasparenza del cielo. I suoi azzurri trafitti dal sole si uniscono al colore del cielo, ma quando Anzolo è cupo e tenebroso come in alcuni suoi soggetti tratti dal repertorio borghese, i suoi sereni si trasformano in tempeste. Abile ed esperto ha saputo unire l'esperienza accademica con quella dell'artista molto abilmente tanto che sue opere figurano in una vasta ed internazionale collezione privata e pubblica. La mostra dal titolo "Le vetrate di Anzolo Fuga" (Palagraziussi, novembre 1999) mette in rilievo l'esperienza e la professionalità dell'artista attivo dagli anni '40 al '98, anno della sua scomparsa. Con Anzolo Fuga e la sua mostra si celebrano anche i vent'anni della rivista "Vivere a Venezia". Ricordo che la mostra è stata possibile per il prestito che il figlio dell'artista, Flavio, ha voluto concedere alla Galleria. Palagraziussi, sede anche del periodico, ospita per la prima volta la mostra di un artista veneziano che ha dedicato tutta la propria vita a conferma che i Muranesi si confermano eccelsi nell'arte del vetro. Egli è il massimo artista che riassume nell'arte della vetrata le tendenze culturali veneziane di questo millennio. Anzolo ha saputo trovare nelle sue vetrate i suggerimenti che potevano derivare dal pensiero filosofico, liturgico e religioso contemporaneo. La sua presenza personale, non più possibile in questo momento, ci è garantita dalla autenticità delle sue opere che sono espressione del suo carattere e del suo credo artistico. Egli ha saputo, tramite le sue vetrate, illuminare il fedele e difenderlo dal male. Scrive Durand di Mende: "Le vetrate sono le .scritture divine che versano la chiarezza del vero sole, cioè di Dio nella chiesa, cioè nei cuori dei fedeli illuminandoli ai tempo stesso ".

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